“ L’evoluzione… come cercare di arrivare alla sicurezza di un lavoro… secondo me ” articolo pubblicato sul sito Il Commerciale – The Salesman il 23 ottobre 2010, autore non definito.
Ho sempre lavorato in PMI, aziende dove ti conosci tutti per nome e dove (per mia fortuna ed espressa richiesta in fase conoscitiva) ho avuto la reale possibilità di lavorare in piena autonomia decisionale ed operativa, benché ovviamente all’interno di linee guida generali dettate dalla Proprietà.
Per come sono fatto non credo che in realtà più grandi sarei stato a mio agio, considerate le decine di regole e procedure che si rendono necessarie per coordinare proficuamente il lavoro di centinaia / migliaia di persone… ed avendo come clienti multinazionali del farmaco e conoscendole molto bene dal punto di vista dei loro processi decisionali, so cosa dico.
Detto questo, cioè determinato il campo ideale in cui condurre la propria partita, credo sia importante capire come giocarla al meglio e vincerla.
Ho iniziato a pensare a queste cose circa tre mesi fa, quando sono diventato Responsabile Vendite nella mia azienda e mi è stato affidato il compito di rifondare da zero la nostra struttura commerciale, adeguandola agli standard organizzativi raggiunti dagli altri reparti.
Ho sempre inteso il lavoro di account come una attività in cui alla fine contano i risultati e soprattutto è importante raggiungerli.
Questa sfida non mi ha mai turbato, neanche all’inizio quando, aperta dall’oggi al domani la mia partita IVA, ancora non sapevo cosa avrei saputo fare arrivando da un’esperienza professionale non assimilabile alla vendita.
Quello che mi ha sempre fatto andare avanti, sia da agente di commercio, sia poi da dipendente, quando mi fu chiesto di entrare dentro l’azienda, sono le commissioni, la parte variabile del mio stipendio.
Amo le commissioni, i premi, perché sono una conferma della mia professionalità e del mio impegno. Sono un continuo ricordarmi che devo andare avanti se non voglio rinunciare al mio benessere.
Nei colloqui che sto facendo, ricerco nei candidati questa fame e questo atteggiamento. Quelli che mi dicono di provenire da aziende dove percepiscono solo un compenso fisso non fanno per me.
Ma il lavorare solo per i soldi non basta. Non mi basta più.
Un’altra cosa che ho vissuto tempo fa in prima persona e ritrovo, adesso che ho occasione di fare colloqui, nelle persone che incontro, è l’avere un posto di lavoro a rischio. A rischio di perderlo a causa di mille motivi che non sono colpa tua!
Un conto è quando capita prima dei 35 anni un conto è quando capita dopo i 45…
Il parlare con tante persone in questa situazione mi ha fatto capire che per tentare di evitarlo (sapete che del doman non v’è certezza) non basta più essere solo un professionista bravo a raggiungere i propri obiettivi.
Bisogna diventare parte dell’azienda. Lavorare come se l’azienda fosse anche un po’ tua. Senza invidie e senza menefreghismo. Senza pensare solo al proprio tornaconto a fine mese ma pensando prima al tornaconto aziendale.
Non vendendo solo quello che è più facile da piazzare ma anche andando a ricercare nuove opportunità di business e magari con un occhio parsimonioso al rimborso a piè di lista.
Fare tua la scommessa dell’azienda, cambiare passo in questo senso, può essere la via per mantenere il posto e sicuramente creare le condizioni per migliorare la posizione.
Alla base di questo ragionamento c’è una certezza: come diceva Nicolò Machiavelli nel Principe, chi combatte per se stesso è più motivato di chi combatte da mercenario.
Dobbiamo diventare sempre di più imprenditori di noi stessi.
Così facendo un lavoro lo avremo sempre. In queste condizioni di gioco, l’unico che può espellerti sei tu.
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Concordo al 102% con te sul fatto che una azienda funziona in modo grandioso quando le persone che ne fanno parte la sentono come propria. Sono queste le persone che rendono, che costruiscono, che lottano per superare gli inevitabili ostacoli. Non dimentichiamoci pero’ che c’e’ un fattore essenziale in questo: l’azienda deve lasciare spazio alle persone per sentirsi parte della stessa. Ne ho viste troppe di societa’ che rinchiudevano il dipendente iin una scatola fatta di regole e controlli, di sfiducia e comunicazione chiusa. In questo caso, al piu’ avremo dei buoni mercenari con il risultato che conoscono bene gli headhunters: molti sono a caccia non solo di un cliente ma anche di un generale che li paghi meglio. Illuminante invece, anche se lo considero per pochi (l’Everest dell’empowerment), l’esempio della SEMCO brasiliana raccontato nel libro del suo CEO che si intitola “maverick”, riletto almeno 5 volte ed in parte applicato ad una piccola realta’ italiana.
Guido,
1.della tua stessa idea quando parli di “fame” la cosa che distingue il top performer
2.non sono con te in modo completo riguardo “deve sentire l’azienda come se fosse un po’ sua”. Lui è l’ Azienda, direttore generale, direttore vendita e direttore markentig; se si ragiona in questi termini sei altamente competitivo in termini di professionalità.